Faccio parte di quella categoria di persone a cui devi ricordare che “è ora di staccare“.
Sono sempre stata così: quando qualcosa mi appassiona, mi ci butto con amore e disciplina, dedizione e assorbimento.
Molto spesso però con “troppo” di fondo.
Da quando sono in proprio la situazione è esplosa.
Lavorare è diventato il luogo in cui si sono mescolate un sacco di cose: passione, interesse, desiderio di crescita, ambizione, curiosità. E se questo mix di adrenalina e interesse all’inizio mi sembrava benzina, si è pian piano trasformato in una lama a doppio taglio.
Perché più la tua attività da freelance cresce, più rischi di trovarti nel girone infernale del troppo lavoro: un’oretta in più, un weekend in più, una settimana in più tolta alle tue ferie. In un eccesso che all’inizio pensi di riuscire a reggere ma che in realtà non è strutturalmente sostenibile nel lungo periodo.
La persona prima del brand
Sul tema del lavorare troppo potremmo aprire un lungo capitolo. Potremmo ragionare sulla nostra società di performance, su quanto siamo figli dei nostri tempi e bla bla bla e magari se un giorno ci incontreremo davanti a uno spritz – chissà – lo faremo davvero.
Ma quello su cui voglio mettere il focus non è tanto la solita morale che lavorare troppo fa male (è ovvio e lo sappiamo tutti).
La cosa davvero interessante per un libero professionista è che mettere un limite al troppo lavoro, non solo tutela noi e il nostro benessere ma è – una delle basi fondamentali alla sopravvivenza della nostra stessa attività.
Troppo spazio occupato dal lavoro infatti, ci toglie creatività, respiro, lucidità, visione e quei sani momenti di cazzeggio e di nulla cosmico che sono – guarda caso – il motore da cui parte moltissima della nostra vitalità professionale.
Per questo motivo, anche in questa epoca di “fai di te stesso un brand” c’è un concetto base su cui non possiamo transigere: la persona viene prima del brand e l’unico modo per stabilire una struttura sana e sostenibile alla nostra attività è tutelarla con dei limiti.
I miei rimedi per tutelare il mio benessere (e proteggere la mia attività)
Io per prima sto cercando da tempo di trovare un equilibrio con la parte di me over-achiever, facendo prevalere dei limiti che proteggano la mia serenità mentale e, di conseguenza, la qualità del mio lavoro. Qua li condivido con te, sperando siano utili. E se hai voglia di un confronto, scrivimi e dimmi la tua.
- Basta Fomo e perché ho interrotto l’uso dei social dopo il lavoro
La parola FOMO (Fear Of Missing Out) – che forse già conosci perché è diventata popolarissima anche in Italia – indica la paura di perdersi qualcosa. Un po’ come quando da adolescente andavano tutti a quella festa e tu no – hai presente?
Questo sentimento di esclusione si è diffuso a macchia d’olio nell’epoca social e per un po’ l’ho sperimentato anche io, soprattutto durante il primo (lunghissimo) lockdown. Mi sono sentita mancare a quella o questa situazione professionale, a quel webinar, a quell’evento di networking e nei giorni più stancanti credo di essere entrata compulsivamente su Instagram 30 volte consecutivamente per “rimanere al passo“.
Uno sforzo quotidiano e costante per “esserci” e per poi fare i conti con l’irrazionalità di un comportamento che non chiariva chi e cosa esattamente mi stessi perdendo.
La risposta che mi sono data mi è bastata a capire che quello che pensavo fosse un desiderio di partecipazione attiva a circostanza stimolanti per me era solo un bisogno di consumo passivo. In sostanza, mi serviva spegnere il cervello con lo scroll, soprattutto nelle giornate difficili, la sera dopo il lavoro.
Ho così preso una decisione drastica ma finora estremamente utile: limitare il più possibile l’accesso alle app social e di messaggistica dopo le 19.30, per riprendere contatto con me stessa, la mia famiglia e le cose che hanno una priorità. Non saprei nemmeno da dove iniziare a dirti quanto benessere mi ha portato questo piccolo cambiamento.
- Immergersi in contesti che non c’entrano con il lavoro
Hai presente la sensazione asfissiante di vedere online sempre le stesse cose?
Questo fenomeno è causato dall’effetto bolla generato dagli algoritmi che selezionano per te cose che presumono ti piaceranno, finendo però per “chiuderti” dentro un cerchio di contenuti estremamente simili tra loro che dopo un po’ finiranno per essere troppi e troppo simili. Questa sensazione si estremizza se in generale, oltre al digitale, ti lasci assorbire troppo dal lavoro: dopo un po’ finisci per parlare solo di quello, pensare solo a quello, chiedere consigli unicamente su quello, identificandoti fino al punto di chiuderti tu per prim* nella tua stessa bolla.
Ecco perché negli ultimi tempi sto scoprendo l’incredibile potenza dell‘immergermi in amicizie estremamente differenti tra loro per tantissimi aspetti: background, provenienza, professione, visione sul mondo, valori. Cerco di mettere il naso in contesti che non c’entrano nulla con il lavoro. Questo mi permette di nutrirmi di altro, uscire dalla bolla e stimolare di nuovo la mia parte di unicità e creatività che finirebbe con lo spegnersi dentro le bolle dove gira sempre la stessa aria.
- Proteggere i confini del tempo
Uno dei metodi più importanti per far sì che la tua attività funzioni e cresca è mettere confini e limiti. L’equazione che dice che più ore lavorerai più crescerai, non la condivido più. Non è la quantità di ore che trascorri a lavorare la discriminante della tua crescita, quanto il modo in cui impieghi il tempo, la qualità del tuo lavoro, le tue mosse strategiche, la tua capacità di strutturare un’attività che funziona rispetto a come sei fatto tu.
Lavorare come un mulo nella convinzione che fare di più = crescere di più a mio parere non è sostenibile se non per un certo periodo di tempo e in ogni caso vale sempre la pena chiedersi:
Per quanto tempo reggerò questo ritmo?
C’è un modo diverso di strutturare le mie attività per riprendermi un po’ del tempo che serve alla mia persona?