Giugno, metà anno, è per me tempo di bilanci.
È quel mese in cui mi prendo qualche ora per esercitare la distanza, lo sguardo su me stessa da un esterno il più oggettivo possibile. A giugno esercito le domande scomode ma anche l’indulgenza. Perché è un attimo finire con il dire a se stesse che non si è fatto abbastanza, quando invece si è fatto tutto ciò che si poteva con ciò che si aveva in quel momento.
Da questo “meeting con me stessa” sono venute fuori tante considerazioni e di sicuro la convinzione che per quanto io mi senta una lumaca, il movimento c’è stato, ed è stato costante.
Due lezioni però, sono emerse tra tutte, durante questa mia analisi.
Te le condivido qua, perché credo fermamente che dalle esperienze altrui si possa sempre trarre qualcosa per se stessi.
Quanti servizi dovrebbero comporre la tua offerta?
Alcune strategie di costruzione dell’offerta dicono questo: crea un core product, un prodotto identificativo del tuo brand e concentra le tue energie nel suo marketing.
Le ragioni di questo approccio sono chiare:
- i potenziali clienti ti identificheranno più rapidamente con il tuo servizio
- fare marketing di un solo servizio è molto più semplice, lineare ed efficace rispetto al farlo su 5 servizi in un anno.
C’è chi ha una membership, chi un percorso, chi un corso e punta tutto su quello o quasi tutto. Nell’ultimo anno e mezzo anche io ho fatto così: creando, raccontando e spingendo unicamente Freelance in Wonderland.
È stata una buona mossa? Io credo di sì: mi ha permesso di crescere e di far conoscere il percorso alle giuste clienti, arrivando ai risultati desiderati.
Ma a un certo punto avrei dovuto (e quindi dovrei) introdurre delle offerte complementari, soprattutto che permettano la fidelizzazione. E questo per un motivo ben preciso: molti dei clienti che concludono un servizio con noi sono pronti per uno step successivo. Spesso ce lo chiedono direttamente: E ora? Qual è il prossimo passo? C’è una variante avanzata? Oppure: come continuiamo?
E io ammetto che, benché conosca bene la teoria, non mi sono preparata abbastanza a rispondere a questa esigenza, lasciando scoperto il bisogno di chi voleva fare di più, meglio e ancora.
Questo processo nel marketing si chiama “aumento del valore di permanenza del cliente (Lifetime value)”. In sintesi ti invita alla costruzione di un’offerta che ti permetta di allungare la durata della relazione tra te e il cliente.
Ovviamente non tutti i tuoi clienti vorranno continuare, è fisiologico, ma alcuni sì.
Ecco perché ti lascio con questa domanda. Se un tuo cliente, a chiusura servizio ti chiedesse: “E ora? Come continuiamo a lavorare insieme?”, tu, cosa risponderesti?
Stai ascoltando i feedback sbagliati?
Si parla tanto di upselling e fidelizzazione, ma pochissimo di downselling: quel processo per cui è necessario concludere e non portare avanti il lavoro con un cliente che hai scoperto essere non adatto a te.
Sarò sincera, ho spesso sottovalutato la questione del dover scegliere bene i clienti con cui lavorare. La mia natura aperta e curiosa mi ha portata a dire molti più sì di quanti avrei dovuto, per poi realizzare che alcuni dei clienti con cui ho lavorato, semplicemente non erano ancora pront@ o non avevano un mindset allineato, cosa che ho capito essere fondamentale per la riuscita di un buon lavoro di strategia.
Spesso succedeva che forti bias cognitivi e blocchi si mettevano in mezzo rispetto alla strategia e per me non era semplice intervenire, dato che non ho alcuna competenza in psicologia o coaching. Avrei dovuto capire meglio e fin dall’inizio che semplicemente non erano clienti a cui avrei portato molti risultati per questioni che andavano ben oltre il marketing.
Abbiamo tutti una quota di clienti che non funzionano con noi e quando lo riconosciamo è il momento di avviare un processo di downselling.
Cosa ho fatto invece io e cosa facciamo spesso noi liberi professionisti?
Prendiamo i clienti non allineati come una sfida, e mettiamo in discussione noi stessi, il nostro metodo di lavoro e i nostri confini. Siamo noi a sentirci inadeguati e nel peggiore dei casi, chiediamo addirittura dei feedback a questi clienti e modifichiamo e tariamo i nostri servizi e le nostre modalità di lavoro sulle loro richieste.
Se avessi ascoltato questi feedback ora avrei dovuto:
- rispondere h.24, possibilmente su whatsapp per stare sempre sul pezzo
- eseguire interventi tecnici o operativi che il cliente non sapeva/voleva delegare
- dare di più (più tempo, più call 1:1, più accesso a me in generale)
- non guardare troppo l’orologio al termine delle call.
Sono molto grata a questi clienti che mi hanno fatta arrivare a una verità: alla base di questo incastro che non funziona c’è una visione diversa del ruolo del professionista.
Questi clienti si aspettavano infatti un tipo di supporto molto diverso da quello che io voglio e scelgo di offrire.
Per esempio, non voglio clienti che si aspettano che un consulente faccia il lavoro al posto loro o diventi una figura amica a cui chiedere a tutte le ore suggerimenti, consigli o piccoli interventi. Ci sono tanti professionisti che in questa modalità fluida e ad alto contatto con il cliente si muovono bene: non io. Va contro i miei valori e il mio approccio al lavoro.
Ecco perché, se per un attimo stavo per ascoltare questi feedback e modificare i miei servizi in preda all’ansia di dover accontentare e servire il cliente, mi sono poi fermata un attimo a chiedermi: ma sono davvero questi i clienti con cui voglio lavorare?
Ho spostato così lo sguardo ai clienti migliori di quest’anno. Persone capaci di mettersi in gioco, di lavorare in autonomia, di percepire il lavoro di consulenza come uno strumento di supporto e non come la fine di un tutto risolutivo.
Tutti noi abbiamo una base di clienti con i quali funzioniamo benissimo.
Apprezzano il nostro lavoro, ci rivolgono feedback positivi e costruttivi: è su di loro che dobbiamo concentrarci ed è quel feedback che dobbiamo ascoltare.
Ecco quindi il mio consiglio per l’estate. Prenditi del tempo e chiediti a quali clienti stai dando ascolto. Sono i migliori clienti? Quelli con cui lavorare funziona? O stai piuttosto ascoltando i clienti con cui hai lavorato peggio?
Insomma, i feedback sono sempre importanti, ma vanno filtrati e contestualizzati. D’altra parte, se finiamo con il dare retta ai clienti sbagliati, scontenti o bloccati, non solo non saremo comunque in grado di cambiare la loro opinione né la loro situazione, ma faremo un grave danno all’asset più importante delle nostre attività: noi stessi.
Spero questa riflessione sulle relazioni con i tuoi clienti sia stata utile.
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